L’ultima mia visita ad una cantina prima del lockdown risaliva a fine febbraio a Montalcino, nei giorni di Benvenuto Brunello, e proprio da Montalcino – passata la fase più critica dell’emergenza – riparto con le degustazioni. Un nuovo inizio per le aziende, che devono confrontarsi con una realtà molto cambiata, e un nuovo inizio anche per me, che inauguro con questo articolo il mio blog personale.

Guida d’eccezione in questo mini-tour di tre tenute fra le colline ilcinesi, l’amica – e pluripremiata sommelier toscana – Valentina Porretta, grande conoscitrice di questi luoghi. Ci troviamo nella zona nord, più fresca e dai terreni prettamente argillosi, patria di Brunelli austeri, dal colore scarico e dal corpo fine. La giornata, ahimé, non è delle migliori, ma il contrasto fra le nuvole gonfie di pioggia e il dolce andamento delle colline aumenta il fascino del paesaggio.
Prima di entrare nel dettaglio delle tre aziende, ci tengo a sottolineare un tratto comune: l’assoluta pulizia ed eleganza del prodotto (anche nei Rosso e IGT presenti in gamma), a testimonianza del costante impegno collettivo per mantenere saldo il blasone del marchio Montalcino. Altra annotazione non meno importante: le tenute sono pronte per offrire ospitalità in sicurezza ai visitatori interessati al wine tour, quindi approfittate!
RIDOLFI: LA CURA DEI PARTICOLARI
Da Ridolfi, azienda in località Mercatali, si vive da qualche tempo una silenziosa e continua rivoluzione: merito dell’enologo Gianni Maccari, allievo di Giulio Gambelli, che, col supporto della proprietà (dal 2011 l’imprenditore Giuseppe Valter Peretti), ha scelto di investire in metodi altamente avanzati, abbinandoli a pratiche dal sapore antico, con il solo scopo di preservare il patrimonio organolettico che le uve di sangiovese grosso qui riescono a esprimere.

Fedele al motto del proprio maestro (“Il vino buono, in cantina lo puoi solo peggiorare”) e in possesso di un ampio bagaglio di esperienza in ambito bio (che lo ha portato ad abbandonare i prodotti chimici da oltre vent’anni), Maccari segue con estrema cura ogni passo della lavorazione: tra i filari tramite il sovescio, il diradamento precoce, l’uso di concimi naturali differenziati secondo i tipi di terreno, la vendemmia manuale e con tempistiche distinte per vigna; in vinificazione con macchine moderne (diraspatrice soffice, in grado di evitare gli acini ancora acerbi e quelli ricoperti da muffe; incisione meccanica della buccia per favorirne la rottura leggera, in modo da spremerla per pressione direttamente in vasca), lunghe macerazioni e frequenti rimontaggi. Durante la fermentazione in acciaio il mosto svolge anche la malolattica tramite lieviti selezionati, in modo da arrivare già formato nella botte, dove poi riposerà – nel caso del Brunello – almeno tre anni (per evitare stress di norma non si praticano ulteriori travasi).



Proprio un assaggio da botte di una partita dell’annata 2017 “atta a divenire Brunello” mi permette di apprezzare le differenti anime che il sangiovese mostra affinando in tre tipologie di legno, variando da note speziate, dolci, a trame più fini e complesse. Tutte anime che si ritroveranno nell’assemblaggio conclusivo, al momento di andare in bottiglia, e che rendono ogni Brunello di Ridolfi un pezzo unico.
CASANUOVA DELLE CERBAIE: L’APPROCCIO SLOW
Vale la pena affrontare i saliscendi delle strette stradine di campagna ai piedi di Montalcino per giungere alla tenuta Casanuova Delle Cerbaie, una piccola oasi di pace. Circondati da vigne, boschi e ulivi, si fa presto a perdere la percezione del tempo, per immergersi in un ritmo dettato dalle note del vino. Il riferimento non è casuale, perché lo staff di Casanuova (Simone Carlotti, Alessandro Brigidi e Giacomo Mastretta, mentre la proprietà è americana) ha un forte legame con la musica, e ogni passo della produzione sembra seguire fedelmente la partitura naturale scritta dalle uve.



Ogni vigna viene vinificata separatamente, con vendemmia manuale e cernita scrupolosa dei grappoli, tanto che la quantità finale di bottiglie resta molto al di sotto del potenziale. Per la fermentazione, in tank d’acciaio, entrano in gioco i soli lieviti indigeni; nel Brunello le macerazioni durano circa 30 giorni – sono in corso esperimenti per protrarle fino a 60 giorni – mentre la maturazione avviene nelle tradizionali botti grandi da 35 hl (legno austriaco Stockinger) per non meno di 30 mesi. Per l’uscita sul mercato si attende che il vino sia pronto, anche oltre il periodo previsto dal disciplinare, se necessario.

Arrivato a tavola posso infine constatare il frutto pregiato di questa attenzione: grande livello per tutti i vini degustati, a partire dal Rivale 2016 IGT (circa 80% sangiovese con un saldo di merlot), proseguendo per il Rosso di Montalcino 2015 e il Brunello (anch’esso 2015), esemplari per armonia, freschezza e vivacità. Una menzione speciale va al Brunello Riserva Vigna Montosoli, dall’omonima rinomata collina, caratterizzata da terreni di galestro e alberese che esaltano gli accenti minerali e sapidi, in un corpo pieno e avvolgente, come si intuisce dalla prova in anteprima dell’annata 2017. Curiosità: per il Vigna Montosoli, al fine di aumentare la concentrazione, si pratica d’abitudine il salasso, con cui è ricavato dallo scorso anno un originalissimo Rosato IGT fatto fermentare senza controllo delle temperature, e che può definirsi una vera essenza di Brunello.
FRANCO PACENTI: L’INCONTRO DI TRE GENERAZIONI
Per narrare la storia di tre generazioni di vignaioli partiamo da un nome: Rosildo, il nuovo cru di Brunello chiamato come il fondatore della tenuta, nato con la vendemmia 2015 e di prossima uscita sul mercato. Si tratta della prima etichetta pensata e voluta da Lorenzo, figlio di Franco Pacenti, che al suo ingresso operativo nei ranghi aziendali – assieme alle sorelle Lisa e Serena – ha voluto omaggiare il nonno, raccogliendone idealmente il testimone.

E’ il 1962 quando Rosildo, con la fine dei contratti di mezzadria, riesce a comprare il suo podere, in quella che si sarebbe rivelata un’area d’oro per la viticoltura: la conca di Canalicchio. In un periodo di diffusa povertà fra i contadini, e di conseguente abbandono delle campagne, Rosildo non demorde e investe nelle potenzialità vinicole del luogo, partecipando alla fondazione del Consorzio. Con Franco si ha la svolta verso una conduzione della fattoria più orientata al mercato, e la definitiva affermazione fra i grandi interpreti del Brunello. Oggi i figli affrontano la sfida di tenere alto il prestigio del marchio: una sfida che, come sottolinea Lorenzo, non è solo competitiva, ma riguarda in particolare i cambiamenti ambientali e l’innalzamento delle temperature medie, simboleggiato dalla scomparsa delle nevicate invernali che una volta assicuravano mesi di riserva idrica alle vigne. Sotto quest’aspetto il versante nord presenta già condizioni favorevoli (clima continentale; protezione dai venti; terreni molto argillosi che trattengono l’acqua); in supporto intervengono poi le maggiori conoscenze, la perizia tecnica e gli strumenti moderni: cito ad esempio le stazioni meteo collocate tra le vigne per un monitoraggio immediato dei dati.



L’impronta dei cantinieri si rivela in particolare nel ricorso a botti diverse per legni e dimensioni, allo scopo di vinificare ogni singolo appezzamento secondo le proprie caratteristiche e quelle dell’annata. In tema di legni, da notare il recente acquisto di botti speciali, assemblate con doghe che – dopo uno screening al computer – risultano presentare la stessa percentuale di tannini. Un lavoro meticoloso dedito a tutelare l’eccellenza del prodotto, come confermano gli assaggi del Rosso 2017, del Brunello 2015 e del Brunello Riserva 2012, ricchi di territorialità, equilibrio, struttura, e capaci di intense emozioni. Senza dimenticare il Brunello Rosildo 2015, ricavato dalla vigna detta “delle crete”, dal suolo quasi impenetrabile, e perciò fonte di grappoli spargoli e concentrati; il vino che ne deriva è robusto, profondo, classico e di una raffinatezza genuina, proprio come mi immagino che fosse il carattere del nonno.