Visitando Villa Le Corti, sede della cantina Principe Corsini nonché dimora della nobile famiglia, si ha la rara occasione di comprendere l’essenza del mondo Chianti Classico, dove il vino fa parte di una storia e di una cultura secolari, e dove il lavoro dell’essere umano in sintonia con la natura ha generato lo splendido paesaggio che oggi ammiriamo. Se poi la voce narrante della visita appartiene a Don Duccio Corsini in persona, il fascino dell’esperienza diventa enorme.

In compagnia dell’amica sommelier Valentina Porretta, arrivo alla tenuta in un caldo pomeriggio di giugno, accolto da Federico Belli, giovane responsabile del marketing: siamo nel comune di San Casciano in Val di Pesa (FI), all’estremo nord della denominazione, con la valle del fiume Pesa che fa da confine per l’area del Classico. Poco dopo si unisce a noi Don Duccio, figlio del principe Ugo, e da lui scopriamo di essere i primi ospiti in cantina dopo la fine del lockdown: un doppio onore!


Posseduta dai Corsini fin dal XIV° secolo, Le Corti si arricchisce durante il 1600 dell’imponente villa, quando l’estensione della proprietà terriera tocca il suo apice (quasi 600 ettari). Già allora si segnala una scelta lungimirante di gestione: i mezzadri dei vari poderi dovevano vinificare le proprie uve solo nei locali della tenuta, creando così una sorta di cooperativa ante litteram. Probabilmente ci fu qualche mugugno fra i contadini, ma i vantaggi per loro erano notevoli, sia per la riduzione dei costi, sia per la vendita ai mediatori, che trovavano tutti i vini a disposizione senza dover girare per fattorie.



Il complesso, per il suo prestigio architettonico, è stato dichiarato monumento nazionale, il che comporta il divieto di modifiche alla struttura, ma questo limite – come vedremo – ha favorito l’adozione di soluzioni ingegnose in cantina. Su suggerimento di Don Duccio, iniziamo il tour dall’alto, ossia dal giardino all’italiana che, con la sua vista sulla campagna, consente di osservare il dolce mosaico di boschi, uliveti e vigneti, simbolo universale del Chianti. Poi si scende attraverso i vari locali, a partire dall’orciaia (perché qui – oltre al vino – si produce ancora ottimo olio) e dall’ampia vinsantaia. Ogni parete porta il segno delle epoche trascorse, tra conteggi scritti a mano, insegne e pure i vecchi portachiavi con i nomi di ogni podere.
“Il concetto di terroir nasce da una visione umanistica, dove ogni scelta legata all’ambiente (tipo di terreno, vitigno, clone, impianto) trova al centro l’uomo“
don duccio Corsini
Don Duccio prende in mano le redini aziendali nel 1992, orientando la produzione al mercato senza scordare – decisione piuttosto controcorrente in quel momento – l’identità territoriale, consapevole di ereditare un patrimonio di saggezze e conoscenze locali sviluppate in simbiosi con l’ambiente circostante: in ciò si racchiude, come lui ama sottolineare, il concetto di terroir secondo una visione umanistica. Esaltare quindi l’unicità del posto con tutti gli strumenti disponibili, ad esempio selezionando e coltivando i propri lieviti indigeni, capaci di sostenere una fermentazione completa anche con gli elevati tassi zuccherini dell’uva, ormai costanti nelle ultime vendemmie.



Giunti alle vasche in acciaio (alcune di un’originale forma tronco-conica, che richiamano i tradizionali tini) posso apprezzare gli strumenti moderni di cui si è dotata l’azienda per aumentare la qualità: tra questi una “sgranellatrice”, più delicata e precisa della classica diraspatrice, che lascia il chicco integro; un nastro che trasporta “a caduta” gli acini vasca per vasca; una macchina, nata nel 1995 su idea di Don Duccio, che esegue la follatura automatica scorrendo su un binario. Tutto – si badi bene – realizzato su misura, perché nessun muro o volta può essere toccato. Completano il percorso le numerose botti in legno, di più dimensioni, destinate ad accogliere principalmente i Chianti Riserva e Gran Selezione.
“Mio figlio Filippo ci ha mostrato una nuova via, quella di perseguire l’integrità del frutto”
DON DUCCIO corsini
Certificata biologica e vegan, l’azienda sperimenta da qualche anno le pratiche biodinamiche, con le etichette Fico (acronimo di Filippo Corsini, figlio di Don Duccio e promotore del progetto) e il “gemello” Per Filo, entrambi 100% sangiovese e provenienti dalla stessa vigna di Gugliaie, dal suolo ricco di scheletro (soprattutto ciottoli di fiume), con rese bassissime – 15q/ha per Fico; meno di 30q/ha il Per Filo – che da sole bastano a comprendere l’estrema cura ad essi riservata.



E dopo aver esplorato ogni lato della cantina, rientriamo con Don Duccio e Federico nel luogo deputato alle degustazioni, cioè l’Osteria. In assaggio i vini consigliati per la stagione estiva, più una sorpresa finale; in tutti spiccano almeno due tratti in comune: l’ordine e la nitidezza, veri “imperativi” per Don Duccio. Partenza col Vermentino Toscana IGT 2019 (dalla tenuta maremmana de La Marsiliana), fresco e profumato, con note vegetali, di pompelmo giallo e pera kaiser, dal corpo minerale. Segue il rosato Venusio Toscana IGT 2019 (sua prima annata), sangiovese in purezza raccolto in anticipo e con breve macerazione sulle bucce, aroma salmastro e di confetto, bocca agrumata – arancia sanguinella – con struttura solida e gusto persistente. Lo Spumante Rosé Principe Corsini, sempre 100% sangiovese, è un brut metodo charmat lungo che offre morbidezza e pulizia sul palato, con un tocco di toscanità nell’intenso sentore di mollica di pane. Il Chianti Classico DOCG Le Corti 2016, sangiovese con un lieve saldo di colorino, maturato in cemento, offre il tipico naso di viola e sottobosco, mentre il sorso è succoso, e sprizza polpa di ciliegia e mora. Come regalo conclusivo ecco il già ricordato Per Filo Toscana IGT 2017, fermentazione in tonneaux aperte, rottura del cappello a mano, solfiti quasi assenti, prodotto in meno di 2000 bottiglie: un vino artigianale, pulsante, di grande finezza ed espressività, dai tannini vellutati e ben integrati con alcool e acidità, nonostante l’annata complessa; insomma, non solo un vino eccellente, ma uno splendido trait d’union fra tradizione e futuro del sangiovese.

