Chi pensa che basti il nome Chianti Classico in etichetta per avere successo, forse ha una conoscenza poco approfondita del mondo del vino. Naturalmente il brand del Gallo Nero aiuta sempre, ma le aziende sono chiamate a un continuo progresso per consolidarsi sul mercato o conquistare spazio, spesso a prezzo di ingenti investimenti. Lo sanno bene alcune cantine che ho visitato nelle scorse settimane, a partire da CASTELLO DI ALBOLA, azienda caratterizzata da una fase di grande dinamismo. Vediamo insieme come.

Il Castello di Albola, comune di Radda in Chianti (SI), vanta un’illustre storia, dove la viticoltura s’intreccia con le vicende della rivalità fra Firenze e Siena, e dove celebri casate si sono succedute nel corso dei secoli (gli Acciaiuoli, i Pazzi, i Ginori Conti). Dal 1979 il Castello entra a far parte del gruppo Zonin, altro nome nobile, ma stavolta del vino! La ricerca costante dell’eccellenza spinge la famiglia Zonin ad attuare, nel nuovo millennio, importanti cambiamenti, con il reimpianto di buona parte dei vigneti – portando tutte le potature a guyot o a cordone speronato – e la scelta di sfruttare più a fondo le peculiarità del terroir. L’area di Radda – nel cuore della denominazione – si distingue per le notevoli altimetrie e per il suolo ricco in scheletro (le tipiche rocce di galestro e alberese), elementi in grado di conferire eleganza e profondità al carattere dell’uva sangiovese: un capitale da valorizzare assolutamente.


Fa da guida alla mia visita il volto giovane di Lorenzo Giraudi, responsabile dell’accoglienza, che subito traccia l’identikit della tenuta, formata da circa 140 ettari vitati (di cui oltre 100 classificati come Chianti Classico) dall’età media di 12-15 anni, con terreni collocati fra i 350 e i 700 metri di altitudine. In una zona dal clima continentale, con forti escursioni termiche e pendenze elevate, il trend delle temperature in aumento sta portando vantaggi sul piano della completa maturazione dell’uva: una carta in più che l’azienda potrà giocare nel prossimo futuro.
Nel passaggio alle antiche cantine, ricavate nei sotterranei del castello, trovo conferma di un approccio ormai consueto fra i moderni produttori, che si dotano di un novero di botti diverse per dimensioni e provenienze del legno, al fine di comporre il giusto mix per l’affinamento secondo le rese dell’annata. Una suggestiva opera in fondo alla barriccaia mostra appunto l’evoluzione del legno nel suo ciclo di vita dopo aver dato dimora al vino. Sempre attenti alle novità, gli esperti di Castello di Albola hanno inoltre introdotto un contenitore riscoperto di recente, l’anfora, destinata a ospitare una Gran Selezione. Il giro termina nella stanza che racchiude la collezione privata dei proprietari, con bottiglie risalenti fino al 1950 da stappare nelle occasioni speciali.





Purtroppo oggi non è una di quelle occasioni, ma l’assaggio dei vini (tutti 100% sangiovese) regala comunque ottime soddisfazioni, con prodotti dal taglio preciso e originale. Il Chianti Classico DOCG 2017 e il Chianti Classico Riserva DOCG 2016 provengono dalle stesse vigne, con una selezione manuale delle uve per il secondo. Una parentela dunque molto stretta, che si ritrova nella pulizia, nel frutto piacevole, nella delicatezza del tannino e nella facilità di beva, con un profilo più etereo e immediato nel primo, più morbido e composto nel secondo. Col Santa Caterina DOCG 2016 si entra nel campo delle Gran Selezioni: ben tre nella gamma, ognuna associata a una singola particella; un segnale per me di crescita, di coraggio e della volontà di portare il sangiovese a confrontarsi a pieno titolo con la cultura vinicola francese. Il colore del Santa Caterina colpisce per concentrazione e intensità, mentre al naso si avverte profumo minerale e dolce – quasi di un acino appena rotto. Bocca succosa, di ciliegia matura, con acidità sostenuta ma ben controllata dal tannino, per un vino generoso che punta soprattutto alla rotondità e a sviluppare il lato “amabile” del sangiovese.
Per il Marangole Gran Selezione DOCG 2016 l’azienda, come accennato sopra, ha scelto di utilizzare per la fermentazione e l’affinamento anfore di terracotta, materiale in grado di mantenere la purezza dell’uva e restituire in modo fedele i tratti del vitigno. Il colore torna a essere scarico; gli aromi assommano amarena, rosa carnosa e un filo di sottobosco; in bocca esce fuori il territorio, con finezza, sapore setoso e persistenza. Il Solatìo Gran Selezione DOCG 2016 è una delle icone di Castello di Albola, prodotto in circa 3.000 bottiglie da una vigna di un solo ettaro, posta in un punto ripido e assolato a quasi 600 metri di altezza, dove si trovano i filari più vecchi. Nel bicchiere si evidenzia il corpo denso e concentrato; al naso si respira mora di rovo croccante, nota di pepe soffusa, oltre a gradevoli sfaccettature balsamiche; il sorso ha un attacco solido e ampio, di ottima componente acida e con tannino robusto. E per meglio comprendere il potenziale evolutivo e di longevità ecco in assaggio – gradita sorpresa! – Il Solatìo 2006 (allora classificato a IGT), caldo e suadente, di grande scioltezza, complessità e classe superba, doti che fanno di questo cru un vero interprete dell’essenza di Radda.




