Ormai il termine “viticoltura eroica” è diventato abituale per il pubblico del vino, e ad esso associamo l’idea di una pratica estrema, sia per scelta delle zone di coltivazione (di solito impervie e poco collegate), sia per la filosofia ispiratrice (che spesso rimanda alla biodinamica o ad approcci a basso impatto ambientale), sia – infine – per la dimensione quasi artigianale, caratterizzata da bassi numeri e da prodotti di forte personalità.
Ma quale futuro attende questo tipo di attività? A fare il punto ci ha pensato ANCI Toscana, in collaborazione con l’Accademia dei Georgofili, tramite il webmeeting dello scorso 17 marzo dedicato a “La viticoltura nelle aree montane”, a cui hanno partecipato rappresentanti istituzionali, esperti scientifici e i principali protagonisti: i vignaioli.

I primi relatori hanno inquadrato il tema nell’ottica generale di un rilancio della montagna, gravata nei ultimi decenni da fenomeni di spopolamento, decadenza economica e progressivo isolamento. Promuovere le attività agricole può essere l’occasione per fermare l’abbandono e rovesciare il ruolo della montagna da soggetto assistenziale a portatore di valori, coinvolgendo soprattutto i giovani imprenditori. In particolare, la viticoltura acquisterà una rilevanza sempre maggiore, a causa dei cambiamenti climatici che spingono l’impianto di vigneti ad altezze impensabili fino a pochi anni fa.
Arriva poi il momento dei dati. Innanzitutto, per parlare di viticoltura eroica deve essere presente almeno una di queste caratteristiche: altitudine superiore a 500 metri s.l.m.; pendenza dei terreni oltre il 30%; presenza di terrazzamenti; localizzazione nelle piccole isole. La morfologia dell’Italia fa sì che realtà del genere siano presenti quasi in ogni regione.

In Toscana si annoverano oggi circa 1100 ettari vitati oltre i 500 m., mentre 2500 ettari si sviluppano su pendenze elevate, con un’età media dei vigneti che va dai 10 ai 20 anni. I problemi appaiono evidenti analizzando i costi di gestione, maggiori di 10 volte rispetto a bassa collina e pianura, in larga parte per le ridotte possibilità d’impiego della meccanizzazione. Si calcola che le ore-lavoro per ettaro siano in media 800 in montagna, contro 300 a bassa quota.
La viticoltura eroica si trova ora al centro di diversi studi e progetti, vista come elemento da inserire in percorsi turistici, oppure traino per veicolare altre produzioni locali (ad esempio il legno per le botti), e – non per ultimo – come opportunità di riscoperta e tutela dei vitigni autoctoni. Da poco è nata una rete internazionale degli istituti di ricerca e università (REVENET – Research innovation on Extreme Viticulture and related Enology Network) che si occupano di questo argomento, allo scopo di cooperare e scambiare informazioni utili.

La parola passa adesso ai produttori. Provenienti dall’intero arco dell’Appennino Toscano – con interventi anche dalle Cinque Terre e dalla Valle d’Aosta – i vignaioli hanno raccontato le loro esperienze ricche di soddisfazioni ma segnate dalle stesse difficoltà. Se unanime è la rivendicazione del compito svolto nella conservazione del territorio (costi che altrimenti ricadrebbero sulla collettività), altrettanto comune è la denuncia di vari problemi, che vanno dalla logistica all’eccessiva burocrazia (qualcuno ha elencato ben 16 enti che esercitano un controllo sulla sua azienda). Ma l’ostacolo da tutti avvertito in modo opprimente è il limite annuale posto all’autorizzazione di nuovi impianti dalla normativa europea, pari all’1% dei vigneti iscritti al registro apposito. Una regola che frena lo sviluppo della viticoltura estrema, rendendone complicata la sopravvivenza, e che – secondo i vignaioli – necessita di una sostanziale deroga.
L’autorità non sembra però voler cedere su questo fronte, anche perché la modifica di una direttiva comunitaria comporta passaggi lunghi e tortuosi. Si auspica piuttosto il recupero dei molti vigneti accatastati e utilizzati solo per consumo familiare, oppure di vigneti “occulti”, coltivati stabilmente ma mai registrati, magari con l’aiuto di una moratoria locale per i proprietari inadempienti. Per ottimizzare investimenti e risorse, l’altro suggerimento è di unire le forze tra piccole imprese, condividendo conoscenze, strumenti tecnici e canali promozionali.

Senza voler entrare nel merito, resta l’impressione di una lentezza della legge nell’adeguarsi alle novità e nel prendere atto degli scenari mutevoli nel mondo del vino. Provvedimenti pensati per un contesto non attuale possono diventare controproducenti, se incapaci di intercettare i fenomeni del presente. Se – come di nuovo ricordato nei saluti finali – si vuole veramente che la viticoltura rappresenti una chance per le aree montane e marginali, sono indispensabili interventi pubblici per facilitare il lavoro dei vignaioli, affinché il loro coraggio e la loro passione non si riducano a pura testimonianza.
Sono intervenuti: Roberta Casini (resp. Agricoltura di ANCI Toscana, sindaca di Lucignano); Luca Marmo (resp. Politiche della Montagna di ANCI Toscana, sindaco di San Marcello/Piteglio); Roberto Gaudio (CERVIM); Paolo Storchi (Accademia dei Georgofili & CREA); Oreste Gerini (Ministero delle Politiche Agricole); Tommaso Triberti (delegato della Regione Toscana ai rapporti con i Comuni Montani, sindaco di Marradi); le aziende Maestà della Formica (Garfagnana), Gregorio Ceccarelli (Montagna Pistoiese), Macea (Media Valle del Serchio), Monastero dei Frati Bianchi (Lunigiana), Podere della Civettaja (Casentino), Cheo (Cinque Terre), La Source (Valle d’Aosta), Podere Scurtarola (Colli del Candia).
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