AL CASTELLO DI STEFANAGO L’OLTREPO’ PAVESE SI TINGE DI FANTASIA

Il Mercato dei Vignaioli Indipendenti di Piacenza riserva come sempre incontri affascinanti in tema di cantine da scoprire – e con oltre 600 espositori da ogni parte d’Italia non potrebbe essere altrimenti! La mia scoperta per l’edizione 2021 è sicuramente Castello di Stefanago, dall’omonima località del comune di Borgo Priolo (PV). Ci troviamo nell’Oltrepò Pavese, aerale dalle quotazioni in crescita negli ultimi anni, ma con una solida tradizione vinicola alle spalle, caratterizzata dalla presenza di due importanti uve alloctone: pinot nero e riesling.


La tenuta del castello – risalente al XIV secolo – si sviluppa nelle colline sopra Voghera, con l’appennino emiliano subito alle spalle: dei 140 ettari totali, 20 sono quelli vitati, ad un’altezza tra i 350 e i 500 metri. Rispetto alle valli più a nord (storicamente fornitrici della vicina Milano), qui le coltivazioni non hanno raggiunto un’estensione massiva, e sopravvive l’alternanza con boschi, frutteti, campi a seminativo e prati incolti. A Castello di Stefanago – che aderisce al protocollo Vinnatur – la cura dell’ambiente entra a far parte dell’intero processo produttivo: l’azienda è certificata biologica da oltre 20 anni e in vigna sono applicati trattamenti biodinamici utili a rinforzare le doti di autodifesa della pianta; in cantina la lavorazione è ridotta al minimo indispensabile, rispettando la personalità di ogni vigneto; per l’imbottigliamento si privilegiano etichette di carta riciclata, tappi a vite e altri piccoli accorgimenti (ad esempio l’assenza di capsule negli spumanti); lungo la proprietà sono stati addirittura creati laghetti artificiali allo scopo di favorire la biodiversità.

Il tutto ruota attorno al concetto di naturalità, parola spesso abusata di questi tempi, ma che in Stefanago assume un significato concreto, come mi spiega Gianni, collaboratore dell’azienda condotta dalla famiglia Baruffaldi. Che il vino nasca principalmente in vigna può sembrare un fatto ovvio, e per tale ragione ogni filare viene “coccolato” passo per passo e aiutato a dare il meglio di sé. Il gradino superiore è invece seguire l’istinto del singolo vigneto, diverso di volta in volta, sia perché la pianta è cresciuta di un anno, sia per l’andamento climatico delle stagioni. Naturalità è dunque assecondare il carattere dell’uva espresso in quell’annata, senza successive forzature o correzioni, recuperando un po’ lo spirito naïf dei vecchi contadini che, privi di bagaglio scientifico e degli strumenti tecnici moderni, vinificavano seguendo le proprie conoscenze empiriche. Operare con un simile materiale qualitativo di partenza porta poi a stimolare la fantasia del vignaiolo, e il risultato si traduce in ben 14/15 vini prodotti – suddivisi su due linee – per sole 60.000 unità (circa 3.500 bottiglie per tipologia). Proviamo allora ad immergerci in questo caleidoscopio di sapori e colori, anche se – ahimé – non ho potuto provare tutto.

Come anticipato, sono due le linee proposte: Stüvenagh, dal taglio più giovane, che comprende anche vini “one shot” (prodotti per una sola volta, in accordo con il principio di naturalità) e birre da cereali coltivati nella tenuta; Stefanago, dal taglio classico, con etichette che escono a cadenza costante. Si sa che l’Oltrepò Pavese vive una fase di rilancio principalmente grazie alle bollicine, e in Castello di Stefanago non mancano gli ottimi esempi. Con una precisazione: qui l’uva viene portata alla sua maturazione ideale prima della vendemmia, senza raccolte anticipate volte ad accentuare l’acidità, perché – sottolinea con fermezza Gianni – quando nel bicchiere si “rompe” la bolla, sotto deve esserci un vino vero, e non frutto acerbo. E per far emergere meglio il territorio si ricorre esclusivamente a lieviti indigeni, e il liquido di dosaggio dopo la sboccatura è composto dallo stesso vino o da una miscela di vini aziendali. Difatti la morbida effervescenza, accompagnata dai sentori tipici delle varietà impiegate (in primis riesling renano, chardonnay, pinot nero) piuttosto che da aromi indotti quali la celeberrima crosta di pane, è una caratteristica che spicca in ogni assaggio, dall’Amico Frizz, bianco frizzante sur lie, passando per lo spumante Mr. White, fino agli Ancestrali Brut e Brut Rosé in varie versioni distinte per il tempo di permanenza sui lieviti, che giunge anche a 100 (!) mesi.

Tra i vini fermi si trovano altre chicche, che brillano per originalità e personalità, come il facile Sbarbatello (leggero pinot nero di soli 11,5°, vinificato con brevissimo contatto sulle bucce), l’estroso Orangiosauro (orange wine da uve chardonnay e un piccolo saldo di cortese, con macerazione pellicolare di circa 20 giorni), il muscolare Ivan Drago (da uve pinot grigio raccolte in tre fasi, di cui una in lieve surmaturazione). Per il cru San Rocco (100% riesling renano che affina un anno in legno, e poi continua l’evoluzione in vetro) l’impronta identitaria risiede nell’uso di botti grandi di acacia, che mettono in evidenza le note minerali del vitigno e ne esaltano il potenziale di longevità.

A malincuore devo interrompere la degustazione, quando ancora mancano diverse etichette all’appello, ma sono sicuro che con Castello di Stefanago ci saranno presto altri appuntamenti, a cominciare dall’evento Natural Wines Oltrepò & Friends, organizzato proprio all’interno della tenuta, e che coinvolge viticoltori locali e da fuori regione.

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