CON SLOW WINE ALLA SCOPERTA DELL’AMERICA LATINA

La recente Slow Wine Fair di Bologna, manifestazione dedicata al “vino buono, pulito e giusto”, è la nuova tappa di un percorso che ha origine dai primi anni ‘80, quando alcuni appassionati guidati da Carlo Petrini iniziano a riflettere in Italia sul concetto di territorio, affiancando agli aspetti tecnici della degustazione le storie e le esperienze di ogni cantina, per affermare una visione del vino che non si fermasse alla semplice analisi della bevanda. Il progetto si evolve rapidamente, sia in campo editoriale (con la pubblicazione delle guide Vini d’Italia e Slow Wine), sia nell’impegno per valorizzare il ruolo del vignaiolo come custode del paesaggio e della cultura contadina, nonché come principale garante per la salute del consumatore. Un impegno che vede nel “Manifesto Slow Food per il vino buono, pulito e giusto”, uscito a ottobre 2020, la sintesi di assemblee, convegni e dibattiti fra produttori, agronomi ed enologi di tutto il mondo tenuti dall’associazione in oltre un trentennio di attività.

Così l’evento Slow Wine Fair segna la prima occasione d’incontro per la rete internazionale nata attorno al manifesto, composta da appassionati, operatori del settore, e naturalmente dalle aziende vinicole, protagoniste in prima linea nella tutela della biodiversità e nella promozione di un sistema agricolo sostenibile. Un grande spazio espositivo è stato dedicato agli ospiti dell’America Latina, portavoce di una regione cruciale per il futuro “verde” del pianeta, dove il legame fra comunità locali e ambiente nativo assume forti aspetti spirituali, aumentando la consapevolezza della necessità di una difesa dell’ecosistema con pratiche di partecipazione dal basso.

Il mio diario inizia dall’Uruguay, con tre cantine familiari rappresentate dal giovane Santiago Dégasperi: Casa Grande, Familia Bresesti e Proyecto Nakkal. Tre piccole realtà provenienti dalla stessa area, alle spalle della capitale Montevideo (dipartimento di Canelones), poco distante dall’oceano e caratterizzata da suoli argillosi e discreta piovosità, con importante escursione termica. Comuni sono anche le radici italiane – con i primi impianti realizzati da migranti agli inizi del Novecento – nonché la matrice artigianale che sta alla base del loro lavoro, con pochi interventi in vigna. L’obiettivo delle tre cantine è offrire vini dal taglio moderno: freschi, bevibili, e che siano espressione fedele delle uve di provenienza. In particolare Proyecto Nakkal aderisce al movimento Nat’Cool, che promuove vini di facile approccio, poco alcolici e dal prezzo abbordabile. Un ottimo esempio è il bianco Nak Cool, blend di Viognier, Ugni Blanc (il nostro trebbiano) e Muscat Ottonel, in parte macerato sulle bucce, per soli 8,5 gradi, prodotto in 1000 bottiglie.

Curioso – a partire dal nome pirandelliano – “Uno, Centomila e Nessuno”, Naranja Viognier di Casa Grande, orange wine di 12°, che svolge una macerazione di 6 mesi in acciaio inox, dove compie anche la fermentazione malolattica. Passando ai rossi, da apprezzare l’interpretazione dell’uva tannat, tipica dell’Uruguay, la cui potenza viene addolcita con brevi passaggi in legno, privilegiando l’acidità: a questo filone appartengono il Tannat Summer di Bresesti, il Tannat Linea Artistica di Casa Grande e il Suelto di Proyecto Nakkal, tutti attorno ai 12 gradi.

Il Cile segna un’immersione nella viticoltura eroica, grazie alle cantine Viñedos Herrera Alvarado e Los Adobes de Chintu. La prima, guidata da Carolina Alvarado (presidentessa di Slow Food Cile), si trova nella Valle Marga Marga, a nord di Santiago, area rimasta estranea alla fase di industrializzazione del paese e perciò più incontaminata, molto vocata per la produzione (nel XIX secolo si contavano oltre 50 aziende). Qui la diffusione massiccia della vite è in gran parte dovuta ai cercatori d’oro, che si spostarono dalla California portando uve francesi e spagnole. Risale a un’epoca antica invece, la consuetudine di fermentare il mosto utilizzando il corpo del bue come vasca, un rito dal sapore ancestrale che mantiene in un ciclo tutti gli elementi della vita campestre. Il lavoro (in totale assenza di corrente elettrica!) viene svolto in cooperativa fra 5 famiglie, ognuna con il suo marchio, per un totale che oscilla fra le 3 e le 4000 bottiglie.

Los Adobes De Chintu è invece collocata nella Valle del Itate, 400 km a sud della capitale, e a circa 600 metri di altezza. Il proprietario Jose Sepulveda appartiene alla quarta generazione di viticoltori della famiglia; la sua attività comprende anche il pascolo e l’allevamento di pavoni (simbolo aziendale e richiamo alla tradizione). Le vigne di età centenaria – 2 ettari in tutto – sono coltivate ad alberello, principalmente con uva pais, varietà a bacca scura introdotta dai missionari spagnoli nel 1500, e che assume altrove nomi diversi (Criolla in Argentina, Mission in USA, Listan Prieto in Spagna). Il Pais Real Viñedo del Secano, unico vino in assaggio, svolge una fermentazione di 20 giorni in tino grande di legno rauli (albero cileno) aperto, mentre l’affinamento si effettua per sei mesi in barriques usate.

Quasi scontato sottolineare che in nessuna delle due cantine si effettuano filtrazioni, controllo delle temperature, aggiunta di solfiti o uso di lieviti selezionati, nella ferma convinzione che il vino vada solo “accompagnato” dal frutto al bicchiere.

Varcando le Ande ecco la nutrita pattuglia dei vini argentini, con ben 9 cantine presenti. Fra queste il mio primo incontro è con Celina Bartolomé di Pielihueso, giovane impresa familiare nata 5 anni fa, dove lei e il padre si occupano della parte agricola, mentre i fratelli di grafica e comunicazione. Pielihueso significa “pelle e ossa”, un modo immediato per segnalare il desiderio di restituire l’essenza dell’uva, evitando pratiche invasive. I 13 ettari di vigneto sono posti nella regione di Mendoza, località Los Chacayes e Los Sauces, a 1200 metri sul livello del mare (!), con clima caldo e secco, segnato da forti escursioni termiche, per una produzione annua di circa 40.000 bottiglie. L’orange wine Naranjo è la loro etichetta “storica”, alla quarta annata: un taglio di Torrontés, Sauvignon Blanc e Chardonnay con 10 giorni di macerazione sulle bucce e fermentazione in solo acciaio. Nella gamma non può mancare il Malbec, vitigno più frequente in Argentina: nel Primero, 100% malbec, il mosto fermenta con una parte di grappoli interi e affina in uova di cemento, per equilibrare il carattere dell’uva.

La sommelier Pia Graziosi mi introduce ad un trio di cantine sempre della regione di Mendoza: Alpamanta, SuperUco e Passionate Wine. Alpamanta nasce nel 2005 a Lujan De Cuyo (Valle del Uco, circa 900 metri di altezza), aderendo da subito ai principi dell’agricoltura biodinamica, prima azienda certificata in Argentina. Grande attenzione alla sostenibilità anche nel packaging, con bottiglie di vetro leggero e capsule di materiale riciclabile. Esemplari della filosofia naturale di Alpamanta sono il Breva Sauvignon Blanc e il Breva Rosé Syrah, imbottigliati senza filtrazioni e chiarificazioni, dal gusto molto delicato e sincero, mentre il Campal, Malbec con piccolo saldo di Merlot e Cabernet Franc, vuole racchiudere tutti i sentori della flora rigogliosa che popola i filari.

SuperUco e Passionate Wine sono due progetti del vulcanico Matias Michelini, profondo conoscitore di questo terroir. Il primo, condotto insieme ai tre fratelli e all’amico Daniel Sammartino, punta a valorizzare micro-appezzamenti situati fra i 1.100 e i 1.400 metri, con suoli variabili (dal calcareo al sassoso) e coltivati in regime biodinamico. Il mio assaggio, SuperUco Chacayes (Malbec 50%, Cabernet Franc 25%, Merlot 15%, Petit Verdot 10%) proviene da una particella di 0,7 ettari; il succo fermenta in botte di legno grande, per poi maturare 18 mesi in barriques di secondo passaggio, arrivando a esprimere ottimi livelli di mineralità e concentrazione.

Passionate Wine vede invece Matias come unico protagonista, nel suo costante intento di esaltare il profilo unico della zona, stavolta tramite il recupero di vecchi vigneti situati a Tupungato, a ridosso della cordigliera andina. Un’avventura pionieristica, che ha portato a raccogliersi attorno alla tenuta anche musicisti ed esponenti della street art locale per alimentare l’impulso creativo. Dalla linea più nota, chiamata iconicamente Via Revolucionaria, provo l’Hulk, Semillon in purezza da piante di quasi 50 anni, con brevissima macerazione sulle bucce e affinamento di 3 mesi in uova di cemento, che presenta uno stile fresco e diretto, con ampio bouquet di aromi e beva agile. Naturalezza e semplicità: l’obiettivo comune a cui sembra puntare il nuovo Sudamerica per porre le basi di una resistenza vinicola globale.

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