
Il crescente rilancio della Vernaccia di San Gimignano vede protagonisti numerosi viticoltori locali, ma un posto di rilievo è sicuramente occupato dall’Azienda Vincenzo Cesani. Approfittando del raddoppio di Cantine Aperte 2021 (quest’anno anche a giugno, oltre al classico weekend di fine maggio), ho finalmente modo di visitare una cantina che ho spesso incontrato – e apprezzato – a varie fiere e manifestazioni. Raggiungere la mia meta è già fonte di piacere, visto che le vecchie strade collinari della Val d’Elsa offrono un panorama inimitabile, fatto di borghi medievali, castelli, pievi isolate e casolari, circondati da boschi, oliveti e le immancabili distese di vigneti.
Arrivato in località Pancole, in attesa degli altri ospiti mi accomodo nel terrazzo con vista, da dove posso osservare tutta la tenuta e l’annesso agriturismo; in sottofondo solo i rumori della campagna: trattori in movimento, cani che abbaiano, il cinguettio degli uccelli e poco più.



In questa atmosfera di quiete inizia il tour aziendale, guidato dall’addetto all’accoglienza Antonio, collaboratore di Cesani ormai da tempo. La famiglia Cesani arrivò qui nel lontano 1949, proveniente dalle Marche. Periodo difficile, quello del dopoguerra, dove però la caparbietà e l’impegno potevano fare la differenza. Infatti le basi della fattoria vengono ben presto consolidate, tanto che la successiva generazione, rappresentata da Vincenzo, fu in grado di avviare la svolta concentrando l’attività su vino, olio e… zafferano, altra bontà di San Gimignano. Con l’ingresso nella conduzione, a fianco di Vincenzo, delle figlie Letizia e Marialuisa, i livelli di qualità fanno un ulteriore passo in avanti, soprattutto – come accennato – nella valorizzazione della Vernaccia (del cui consorzio Letizia è stata a lungo presidente), senza tralasciare l’ottenimento della certificazione biologica.
Per sottolineare l’importanza di questo vino – il primo bianco ad ottenere la DOC in Italia nel 1966 – Antonio ricorda che è citato per nome persino nella Divina Commedia di Dante: precisamente in un passo del Purgatorio, consumato da Papa Martino IV assieme a un piatto di anguille. Chissà se proprio grazie alla Vernaccia, Martino si salvò dall’essere collocato nell’Inferno: sia come sia, l’azienda ha celebrato il settecentenario della morte del Sommo Poeta con alcune simpatiche etichette in edizione limitata.



In totale 26 sono oggi gli ettari vitati, quasi interamente con varietà autoctone, suddivisi in tre grandi aree: Pancole (il nucleo storico), San Paolo e Cellole. I terreni sono in genere sabbiosi e limosi, originati da fondali marini – ne è testimone l’abbondanza di conchiglie fossili – e capaci di conferire ai vini struttura e longevità. Ma, data anche la poca distanza dalla zona del Gallo Nero, non mancano suoli più argillosi, sassosi, con presenza di alberese: diverse composizioni, che permettono di dare ai prodotti di Cesani identità ben distinte.
Nella cantina si lavora con tank in acciaio a temperatura controllata, nonché con vasche di cemento e barriques in rovere francese (entrambe destinate ai soli rossi); le operazioni si svolgono in un ambiente molto raccolto, dove ogni fase della vinificazione può essere seguita in modo vigile e scrupoloso: un aspetto che è fondamentale in special modo per la vernaccia, uva non semplice da gestire.

Tornati alla luce, ci aspettano gli assaggi (cinque degli otto vini prodotti in totale), abbinati a un gradito tagliere di formaggi, salumi e bruschette condite con l’olio EVO aziendale. Apre la Vernaccia di San Gimignano DOCG d’annata, elevata in acciaio e imbottigliata ad aprile, ricca di profumi fruttati, minerale, croccante e di buona persistenza, mentre – tratto tipico di quest’uva – l’acidità non è marcata. Un vino d’ingresso già pieno di carattere, che si fa bere con facilità, adatto come aperitivo o con piatti leggeri.
Con la Vernaccia di San Gimignano DOCG Riserva Sanice si vanno a toccare con mano – anzi, col palato – la complessità e la forza del vitigno. Sanice proviene da una selezione delle migliori uve (principalmente dall’area di Pancole), raccolte in ritardo di circa una settimana: la sovrammaturazione fornisce così gli zuccheri necessari per affrontare un lungo affinamento, di 12 mesi sui lieviti in acciaio, poi 24 mesi in bottiglia. Brilla nel calice col suo colore giallo carico, dai riflessi dorati, e brilla al naso, con una gamma di profumi estremamente ampia, questa Riserva: note di miele, cereali tostati, erbe aromatiche. Il corpo è rotondo, avvolgente e di impetuosa sapidità, ma tuttora giovane e fresco.



Lasciati i bianchi, si passa al “quasi rosso” Rosato Toscano IGT, vino piuttosto atipico per la categoria, da uve 100% sangiovese, con brevissima macerazione del mosto durante la pressatura, che arriva a toccare i 14,5°, e dunque preferibile consumarlo al pasto. Colore rubino scarico ma molto vivo, aromi che virano su lampone e fragola, sorso deciso, il Rosato fa della versatilità la sua arma vincente: a tavola può accompagnare antipasti, zuppe o primi di pesce al pomodoro, fino alla classica pizza.
Il Serisé Toscana IGT è un’altra piccola perla aziendale, fatto da ciliegiolo in purezza, con passaggio in barrique di circa 12 mesi. Vitigno atipico per la zona, di solito usato per i tagli del Chianti, il ciliegiolo presenta acini grandi, buccia sottile e matura in anticipo rispetto al sangiovese. L’esigenza di effettuare la vendemmia e la vinificazione prima delle altre uve ha portato a scoprire che poteva diventare un’etichetta a sé stante. L’aspetto particolare del Serisé – racconta Antonio – consiste nello scarto fra parte olfattiva e gustativa, caratteristica che forse non rispetta i “comandamenti” del sommelier, ma che di sicuro indica personalità. Al naso troviamo marasca, amarena sotto spirito, note speziate e di cioccolata, mentre al sorso la dolcezza rimane sfumata, in favore di un impatto asciutto, con bella trama tannica, che lascia la bocca pulita, rendendo il Serisé ideale per grigliate di maiale o agnello.



Al top della gamma dei rossi ecco il Luenzo Rosso Toscana IGT, 90% sangiovese con saldo di colorino, proveniente dal cru di Cellole, particella dal suolo a prevalenza rocciosa, che restituisce calore anche durante la notte favorendo lo sviluppo ottimale delle uve. Dopo la fermentazione alcolica in cemento, il Luenzo affina tra i 16 e i 18 mesi in barriques di primo, secondo e terzo passaggio (con travasi che avvengono 3 volte l’anno), per poi riposare almeno 48 mesi in bottiglia. Facile perciò immaginarsi l’evoluzione dei sentori e l’intensità del bouquet, che spazia da frutta rossa matura a vaniglia, tabacco, liquirizia. Bevendo il Luenzo, si apprezzano l’equilibrio e l’eleganza del gusto, caldo, denso e appagante. Ovvio l’abbinamento con un piatto forte della zona, il cinghiale in umido, ma ottimo anche da sorseggiare per meditazione.



Vini bianchi, rossi, rosati, da consumare pronti o da destinare all’invecchiamento. All’Azienda Cesani manca ancora qualcosa? Chissà. A mia precisa domanda, Antonio accenna a un nuovo progetto in cantiere, pur non sbottonandosi troppo. Non resta dunque che attendere fiduciosi.