
Accompagnata da numeri sempre più sorprendenti, si è conclusa il 28 novembre scorso l’edizione numero 11 del Mercato dei Vignaioli Indipendenti di Piacenza. Se già lo scorso anno l’ampia partecipazione di pubblico poteva stupire, considerato che il periodo di emergenza non era ancora terminato, i dati del 2022 hanno superato ogni aspettativa. 870 cantine presenti – con l’apertura di un terzo padiglione espositivo – e 24.000 ingressi complessivi, testimoniano il successo ormai consolidato della formula, sia dal lato degli appassionati, sia da quello dei piccoli produttori: i primi, perché hanno la garanzia di assaggiare e acquistare vini realmente artigiani e autentici; i secondi, perché grazie all’organizzazione della FIVI (Federazione Italiana dei Vignaioli Indipendenti), trovano uno spazio per dare risalto alla propria opera e un momento di confronto utile a far sentire una voce comune.



Il tema della burocrazia (come ricordato con ironia anche dai gadget in vendita) resta sicuramente “il” problema per tante realtà dalla gestione spesso familiare, dove ogni momento sottratto alla vigna rischia di compromettere le fatiche di una stagione intera. Per questo la FIVI ha predisposto un dossier, presentato al Mercato durante l’assemblea dei soci, in cui si avanzano numerose richieste di semplificazione delle pratiche e un appello a forme di controllo proporzionate alle dimensioni aziendali; istanze che sono state portate all’attenzione dei molti esponenti – nazionali e regionali – delle istituzioni arrivati a Piacenza per la giornata di apertura, altro segnale dell’importanza raggiunta dalla fiera.



Per me che ho calcato i padiglioni dell’Expo in quasi tutte le edizioni, l’esperienza del Mercato va oltre la semplice rassegna vinicola, diventando un appuntamento per rivedere amici e approfondire conoscenze vecchie e nuove. Tra le conferme metto volentieri la cantina L’Armangia di Ignazio Giovine (Canelli, AT), che, pur contando su soli 11 ettari, offre una gamma completa – dagli spumanti al vino dolce – in grado di coprire ogni angolo del palato. Accanto alle note espressioni di Barbera (Titon, Vignali, Sopra Berruti), cavallo di battaglia dell’azienda, la chicca di quest’anno – in tiratura limitata – è un Moscato d’Asti spumante dolce 2017 (!) dalle stupende nuances sensoriali presenti al naso e in bocca, che riassume la capacità di Ignazio di tenere insieme tradizione e voglia di sperimentare.



Di barbera in barbera, stavolta del Sannio, altro gradito ritrovo è quello con l’azienda di Simone Giacomo (Castelvenere, BN), giovane vignaiolo attento all’ecosostenibilità, che ha intrapreso un percorso di rilancio e al contempo di esplorazione della Camaiola, vitigno autoctono finora conosciuto appunto come Barbera del Sannio, ma poco valorizzato. A fianco della tipica versione in rosso – che con Giacomo sta trovando un’identità ben definita, basata sulla ricchezza del frutto e sul sorso morbido e appagante – e a quella altrettanto piacevole in rosato, al Mercato arriva in anteprima lo sbarazzino Surfer Rosa, un fresco rifermentato col fondo da uve camaiola, che di certo spopolerà ai primi caldi.



Sempre al sud, la mia scoperta per questa edizione resta senza dubbio la Cantina La Marchesa (Lucera, FG) della famiglia Grasso, per l’abilità ad esaltare i tratti elettivi dell’aerale d’origine, la Daunia, con vini precisi, di carattere e senza orpelli. Il lavoro si incentra sui vitigni autoctoni, in primis uva di troia, piantati su 15 ettari tutti a breve distanza del corpo aziendale, circostanza che permette un costante monitoraggio della vigna e velocità nelle operazioni legate alla vendemmia. Tra le loro etichette segnalo il succoso e godibilissimo Cacc’e Mmitte di Lucera (blend di uva di troia, montepulciano e bombino bianco, dal rapido passaggio in barriques), l’intenso rosato Il Melograno (che ci ricorda perché la Puglia “fa storia” con questa tipologia) e il solido Nerone della Marchesa, dove l’uva di troia dispiega tutta la sua complessità e finezza.


Anche per i “veterani” come il sottoscritto dunque, il Mercato riesce a riservare proposte nuove, dimostrando la vitalità del settore e la capacità dei vignaioli di stare al passo con i tempi senza snaturare i propri principi e il legame con il territorio.