WINE DESTINATIONS: VIAGGIARE SULLE ROTTE DEL VINO

La prima edizione dell’evento Wine Destinations Italia non poteva che svolgersi in un luogo destinato alle partenze: il Terminal Crociere del porto di Livorno. Fra navi maestose e le splendide strutture medicee, lo spazio normalmente dedicato ai passeggeri in attesa dell’imbarco, ha accolto – nei giorni 13 e 14 novembre – numerosi appassionati in cerca di idee e di ispirazione per le loro prossime vacanze nelle principali zone vinicole del paese. Il fenomeno dell’enoturismo è in costante ascesa, frenato solo dall’avvento della pandemia, e le visite in cantina diventano spesso l’occasione per conoscere il territorio circostante a 360°, dalle specialità gastronomiche alle escursioni naturalistiche e sportive, fino alla scoperta del patrimonio culturale. Con un importante valore aggiunto: mettere in luce la ricchezza di tante aree d’Italia spesso escluse dai circuiti del turismo di massa.

Mancava però una vetrina in grado di raccogliere le varie esperienze (nate perlopiù dall’iniziativa spontanea dei produttori), ed è questo lo scopo che la Scuola Europea di Sommelier, ente organizzatore di Wine Destinations Italia, vuole raggiungere e portare avanti con continuità. Molte le regioni ospitate, con la Toscana a recitare il ruolo principale, assieme a rappresentanze di Piemonte, Abruzzo, Campania, Lombardia, Sardegna, Sicilia, Friuli-Venezia Giulia e Liguria. Oltre al dialogo diretto con i vignaioli, il pubblico ha potuto approfondire le tematiche della manifestazione tramite un nutrito programma di conferenze, tra le quali “Racconti di vini, vite e vita”, un talk condotto dalla sommelier e blogger Katarina Andersson, dove cinque piccole realtà vinicole hanno portato la loro testimonianza.

L’azienda biologica Tenuta Mariani (Massarosa – LU) si distingue sia per l’inusuale gamma – almeno per il panorama regionale – incentrata sugli spumanti (ben 3 metodo classico e 3 charmat), sia per la posizione delle vigne, impiantate attorno al lago di Massaciuccoli su suolo prettamente sabbioso, protette alle spalle dalle colline lucchesi. Felice intuizione, quella di proporre bollicine a km zero per rifornire la vicina Versilia soprattutto nel periodo estivo, ma anche un modo per far conoscere la bellezza dell’entroterra, splendida riserva paesaggistica e faunistica che, assieme ai tomboli e alla pineta della fascia costiera, rappresenta un ecosistema unico, tanto che il lago è stato dichiarato oasi LIPU.


La Cantina della cooperativa agricola Cinqueterre (Manarola – SP) può vantare il merito di aver svelato il potenziale enologico dell’omonima zona, perla indiscussa della Liguria, nonché Parco Nazionale e sito UNESCO. Nata nel 1973 assieme alla DOC, la cooperativa riunisce e organizza oltre 200 soci e centinaia di microappezzamenti (spesso a picco sul mare), in un luogo dove parlare di ettari vitati suona come una scherzosa battuta, data la conformazione impervia e frastagliata delle Cinque Terre. La presenza di grandi vini, a partire dal mitico passito Sciacchetrà, ha contribuito negli anni a dare visibilità al territorio e ad arricchire l’offerta per i visitatori, oggi sempre più attratti dalla viticoltura eroica e dai suoi interpreti migliori.

Un solido legame con la tradizione sta alla base della filosofia di Mussennore (Mamoiada – NU), giovanissima cantina familiare sarda che sorge nel cuore della Barbagia, a circa 650 metri di altitudine. Qui la passione e lo spirito di comunità portano nel 2015 alla nascita dell’associazione Mamojà, composta da oltre 70 produttori (in un paese di circa 2.500 abitanti) e fondata su un solo credo: il Cannonau. Uva degli avi, coltivata su terreni granitici mantenendo ancora alcuni metodi del passato (come in Mussennore la lavorazione tra i filari con i buoi), il Cannonau fa da veicolo per la promozione di altre attrattive locali: le tipiche maschere rituali di origine arcaica, i sentieri dei pastori (da percorrere a piedi o in bici), i monumenti preistorici e, naturalmente, la cucina.


La forza del passato rivive anche nell’esperienza dell’azienda campana Ca’Stelle (Castelvenere – BN), portavoce di un’eredità storica e vinicola – quella del Sannio – risalente alle prime civiltà italiche. Due sono i progetti di riscoperta in cui l’azienda è impegnata. Il Falanghina Tour Experience comprende, oltre agli assaggi, passeggiate in vigna, visite alle cantine tufacee, al borgo medioevale e alle vicine terme romane di Telese. Il secondo si chiama “L’indigena” e – come il sostantivo suggerisce – si occupa del riconoscimento ufficiale di un vitigno autoctono, la Camaiola, finora denominata Barbera del Sannio, pur non presentando parentele ampelografiche con la celebre uva a bacca rossa, se non per le proprietà coloranti (Camaiola in dialetto significa “che macchia”). Due progetti che mirano a fare rete nel territorio e a rivalutarne l’identità.

A conclusione giunge l’intervento dell’azienda di Antonio Arrighi (Porto Azzurro – LI), che grazie a un particolare esperimento di vinificazione ha portato l’Isola d’Elba alla ribalta delle cronache internazionali. Per il proprio vino Nesos, Arrighi ha replicato un metodo usato dagli antichi greci di Chio (isola che, fra l’altro, aveva rapporti commerciali con l’Elba), immergendo in mare per alcuni giorni dei grappoli di uva ansonica conservati in ceste di vimini. La penetrazione del sale marino nelle bucce, come i greci avevano intuito, agisce da antiossidante e disinfettante, aumentando la longevità del vino prodotto e permettendo che non si deteriorasse durante il trasporto. La notizia ha avuto grande risonanza, con vantaggi per tutta la viticoltura elbana: basti pensare che a luglio 2021 le cantine dell’isola avevano già terminato le scorte di bottiglie delle ultime vendemmie.

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