AZIENDA ARRIGHI: I VINI DELL’ELBA TRA STORIA E INNOVAZIONE

Il fenomeno Isola d’Elba come meta vacanziera del 2021 per italiani e stranieri, si riflette anche sul mondo del vino locale, con oltre 600.000 bottiglie acquistate sull’isola in 50 giorni di stagione estiva. Ma a cosa si deve questo boom? Buona parte del merito va senza dubbio ad Antonio Arrighi, che con la sua azienda di Porto Azzurro (LI) ha portato l’Elba alla ribalta internazionale grazie al progetto del Nesos, un vino bianco prodotto secondo un metodo risalente all’antica Grecia, consistente nell’immergere le uve in mare a 6/7 metri di profondità dentro ceste di vimini per alcuni giorni prima della pressatura, in modo da far penetrare negli acini il sale – che ha proprietà antiossidanti – e aumentare così le capacità di conservazione e longevità del vino (fattori essenziali all’epoca per il trasporto sulle navi).

Dall’esperimento – concluso con successo e “condensato” in 40 bottiglie – sono scaturiti articoli giornalistici, servizi televisivi e anche un documentario, premiato in vari festival di settore (dove – sottolinea con velata soddisfazione Antonio – ha superato registi del calibro di Ridley Scott). Il Nesos rappresenta però solo una tappa della lunga storia di Arrighi, che da sempre ha abbinato una vena sperimentale alla sua attività di vignaiolo: basti pensare che i suoi filari ospitano, accanto ai vitigni classici dell’Elba (aleatico, sangiovese, ansonica, vermentino, procanico, biancone), varietà alloctone come chardonnay, incrocio Manzoni e persino sagrantino, impiantate a seguito di collaborazioni con istituti di ricerca universitari. Di vecchia data è anche l’introduzione delle anfore di terracotta in cantina, ormai utilizzate da circa 11 anni e in numero sempre crescente. Inoltre Arrighi ha aderito da tempo alla Federazione Italiana dei Vignaioli Indipendenti (FIVI), che raccoglie le cantine dove tutto il ciclo della produzione è gestito in autonomia, assumendo come principio cardine la difesa del terroir.

Se forte è lo spirito pionieristico dell’azienda, altrettanto forte è il legame con l’isola e la sua viticoltura finora poco conosciuta, di cui Antonio si fa divulgatore in ogni pubblica occasione, ricordando ad esempio che l’Elba nel 1800 costituiva con 5000 ettari (ora sono circa 350) l’area di maggior produzione in tutta la Toscana, prima del passaggio a un’economia basata sul turismo; oppure che tracce della vocazione vinicola sono presenti fin dall’epoca romana, testimoniate da ritrovamenti archeologici di dolium in una villa patrizia presso Portoferraio. Durante il wine trekking organizzato per i visitatori, si possono scoprire le tante curiosità della tenuta, compresa interamente nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, e che il prossimo anno otterrà la certificazione biologica.

Le vigne – 8 ettari in tutto – sono situate nel versante est dell’isola, dal suolo ricchissimo di minerali (se ne contano oltre 500 tipologie) e, di conseguenza, molto variabile nella sua composizione. Questo aspetto, assieme alle diverse esposizioni dei filari, fa sì che i tempi di maturazione e raccolta non si sovrappongano eccessivamente, consentendo di gestire al meglio le numerose varietà di vitigni sopra citate. La passeggiata permette di ammirare il nucleo principale dei vigneti di Arrighi, disposto ad anfiteatro nella vallata rivolta verso Porto Azzurro, nonché l’importante opera di terrazzamento sviluppata per consolidare i terreni da destinare a nuovi impianti.


Piccolo aneddoto storico riportato da Antonio: all’Elba, contrariamente al resto della Toscana, non era diffusa la cultura dell’olio. Per un richiamo all’italica tradizione, Mussolini volle dunque donare circa 500 ulivi agli abitanti locali, che però si guardarono bene dal sottrarre spazio alle vigne, piantandoli lungo le strade poderali a mo’ di ornamento.

Concluso il giro, in degustazione sono offerte cinque etichette rappresentative della gamma aziendale. L’Ilagiù Elba Bianco DOC 2020 (dal nome delle figlie di Antonio, Ilaria e Giulia) è un blend di procanico, ansonica e biancone, vinificato in acciaio, di pronto consumo, dal profumo salino ed erbaceo, di facile beva: un toccasana dopo la camminata sotto l’afa! Nel Valerius Toscana IGT 2020 (così chiamato in omaggio all’antico proprietario della villa romana prima ricordata), ansonica in purezza, entrano in gioco le anfore, dove il mosto viene immesso e lasciato a contatto con le bucce di acini ancora integri per sei mesi. Una lavorazione resa possibile dalle proprietà di quest’uva autoctona, dall’epicarpo spesso e resistente, usata per gli stessi motivi anche nel Nesos. La lenta macerazione genera un colore giallo oro brillante, e porta al Valerius odori di miele e frutta bianca matura, mentre in bocca si apprezzano l’intensa acidità e il piglio sapido. Con l’Isola in Rosa Toscana IGT 2020, 100% syrah vinificato in bianco, si torna a toni più immediati e leggeri, con profumi floreali e il classico tocco di pepe rosa tipico del vitigno. Sorso fresco e avvolgente, di bell’equilibrio, con note di ribes e mirtillo rosso; un rosato consigliato – suggerisce Arrighi – con le zuppe di pesce.

Il Tresse Toscana IGT 2018 per molti versi racchiude l’anima creativa di Arrighi: blend di 50% sangiovese, 30% syrah e 20% sagrantino – le tre “esse” del nome – il mosto affina per metà in legno e per metà in anfora fino a 18 mesi, prima essere assemblato e riposare altri 6 mesi in vetro. Frutto di questo doppio percorso è un vino armonico, vivo, dagli intensi aromi speziati e morbido al palato, con tannini soffusi, di grande gusto e persistenza. Avendo assaggiato anche la “vecchia” versione, elevata in solo legno, posso dire che il Tresse ha acquisito maggiore personalità grazie alla cura dell’anfora. Il finale non può che toccare al Silosò Elba Aleatico Passito DOCG 2020, dal vitigno aromatico a bacca rossa per cui l’Elba è tradizionalmente conosciuta, qui lasciato sui graticci per 8-10 giorni dopo la vendemmia. Affinato in acciaio, dal color rubino profondo, il Silosò possiede una dolcezza delicata, che non ostacola la beva, dove assieme al ricco tappeto di frutta in confettura appaiono tratti ematici e salmalstri. A contribuire all’equilibrio intervengono anche i tannini e la bassa alcolicità, mentre il finale è lungo e suadente.

Cala la sera, e con essa arriva il momento di lasciare la cantina, non prima di scoprire una golosa novità: l’uscita a breve di uno spumante metodo ancestrale da uve Manzoni bianco e chardonnay, ennesima prova di inventiva e voglia di mettersi in gioco da parte di un’azienda che non smette di esaltare la viticoltura elbana.

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